Le tecnologie per l’estrazione
Tecnologie sofisticate e complesse
Il concetto base per il recupero degli oli non convenzionali è che occorre far muovere gli idrocarburi, densi e poco mobili, verso il pozzo di estrazione. Questo viene ottenuto in diversi modi: aumentando la permeabilità della roccia del reservoir, creando artificialmente gradienti di pressione nel giacimento, oppure aumentando la mobilità degli oli riducendone la viscosità. Diverse sono le metodologie utilizzate, e possono essere riassunte in:
- tecnologie “a freddo”, che utilizzano metodi fisici e meccanici per aumentare la pressione nel giacimento e la permeabilità della roccia reservoir, mentre la viscosità degli olii viene ridotta con l’iniezione di solventi chimici;
- metodi “termici”, che invece utilizzano il calore per aumentare la mobilità degli idrocarburi nel serbatoio.
Alcune tecnologie prevedono la realizzazione di pozzi, simili ai pozzi di estrazione, mentre altre impiegano tecniche di estrazione mineraria (cioè, prelievo) delle rocce (per esempio, nel caso di sabbie e scisti bituminosi, che vengono estratti o cavati e poi lavorati in seguito). Con l’impiego delle tecnologie più moderne, la percentuale di recupero dai reservoir potrebbe salire fino al 70%.
Drenaggio a gravità e l’estrazione mineraria
Alcuni metodi, come il drenaggio a gravità e l’estrazione mineraria delle sabbie bituminose, risalgono a 100 anni fa, ma sono state recentemente rivisti e raffinati, e per il futuro si pensa che sarà possibile utilizzare anche risorse ora ancora impensabili, come gli idrati di metano o le argille bituminose. Sono tecnologie che comportano, però, alcuni svantaggi: consumi energetici elevati, necessità di smaltimento dei materiali residui (come argille e sabbie contaminate da idrocarburi, prodotte in grande quantità), elevate emissioni di CO2 e produzione di zolfo e di fanghi ricchi di sostanze tossiche.
Altre tecniche
Le prime tecniche utilizzate per produrre olii viscosi su larga scala risalgono al 1950 circa, e utilizzavano il vapore. I Paesi che per primi hanno iniziato a studiare questa tecnologia sono stati USA, Canada, Indonesia, Romania, Russia, Cina e Kazakhstan e attualmente per via termica a vapore si producono circa 4-5 106 bbl/giorno. Un’altra tecnica inizialmente molto applicata fu la combustione in situ, che prevede la combustione di una parte degli idrocarburi nel giacimento, per riscaldare e fluidificare il resto, insieme al flussaggio con acqua (water flooding), l’iniezione di solventi (solvent injection), spiazzamento con polimeri (polymer displacement), l’iniezione di gas inerti (come CH4 o N2) ed altre tecniche che usano elevati gradienti di pressione per spiazzare gli olii e convogliarli verso i pozzi. Una curiosità: le tecniche che utilizzano impulsi ripetuti di pressione per far muovere gli idrocarburi verso i pozzi di estrazione sono nate in California dall’osservazione che, a seguito delle scosse di forti terremoti, la produttività di alcuni giacimenti aumentava spontaneamente per qualche settimana.
Negli anni ’80 nascono nuovi concetti, che sviluppano tecniche altamente produttive, come la contemporanea estrazione di sabbia (CHOPS) per aumentare la spinta del gas dissolto negli oli viscosi, e tecniche di perforazione orizzontale e di drenaggio per gravità, che aumentano moltissimo il coefficiente di recupero. Sono queste attualmente le tecniche più produttive e più usate: la tecnica CHOPS produce 0,7 Mbbl/giorno solo in Canada, quella con pozzi orizzontali 0,7 Mbbl/giorno in Venezuela, con una produzione totale di 4 Mbbl/giorno.
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