Come si forma il ghiaccio
Il ghiaccio è costituito da cristalli frammisti a numerose impurità, che vanno da sali disciolti inglobati nel reticolo cristallino del ghiaccio, a particelle di detrito, polveri atmosferiche, frammenti di roccia o di suolo intrappolati, a minuscole bolle d’aria rimaste imprigionate nelle fasi di congelamento o di trasformazione della neve in ghiaccio. Lo studio di queste impurità ci permette di ricavare importanti informazioni sui processi di formazione e sul luogo di provenienza del ghiaccio e persino sulla composizione e sulla temperatura dell’atmosfera al momento della formazione.
La neve si trasforma
La formazione del ghiaccio di un ghiacciaio inizia con la deposizione di neve. La neve, con i suoi cristalli a stella o esagonali, contiene moltissima aria, e ha una densità bassissima (per questo vi sprofondiamo così facilmente, e sempre per questo la neve ha la capacità di assorbire moltissimo i suoni, così che un paesaggio innevato ci appare anche stranamente “silente”).
Non appena cade al suolo, la neve inizia una trasformazione che porta a modificare la forma e le dimensioni dei cristalli e a ridurre progressivamente il numero e le dimensioni dei vuoti, aumentando la densità. Questa trasformazione è molto nota agli sciatori, che ben conoscono la differenza tra sciare nella polverosa neve invernale o in quella primaverile, trasformata e granulosa!
Il principale responsabile della trasformazione della neve è la fusione, che avvolge i singoli cristalli con una pellicola di acqua, fondendone le punte e dando loro una forma più arrotondata. Le variazioni di forma e la presenza di acqua negli interstizi tra i cristalli provocano una graduale riduzione dei vuoti tra i granuli, favorita anche dalla compattazione esercitata dal peso degli strati di neve superiori. Se si ha rigelo delle acque di fusione, le dimensioni dei pori diminuiscono ulteriormente e i cristalli più grandi si ingrandiscono a spese di quelli più piccoli, che scompaiono.
Le trasformazioni sono molto rapide quando la neve subisce diversi cicli di fusione e di rigelo, più lente se le temperature rimangono basse: in quest’ultimo caso le trasformazioni avvengono per sublimazione, processo che richiede tempi più lunghi (questo è il motivo per cui abbondanti nevicate in inverno possono dare un elevato pericolo di valanghe, poichè il permanere di basse temperature non permette la trasformazione e la stabilizzazione del manto nevoso).
La neve si trasforma così in una massa poco compatta di cristalli di ghiaccio arrotondati, che prende il nome di neve vecchia, o, più elegantemente, di nevato o Firn (termine tedesco) se permane per più di un anno. Il Firn è caratterizzato da una densità superiore a 0,54 e una porosità inferiore al 40%. La trasformazione di neve in Firn è tanto più rapida quanto maggiori sono i cicli di gelo e disgelo: circa 4 mesi sulle Ande, un anno sulle Alpi, 4 anni nell’Alaska meridionale, vent’anni in Groenlandia (dati da Smiraglia, 1992). Con l’età, le dimensioni dei granuli e la densità aumentano, e si riduce la porosità.
Il passaggio da Firn a ghiaccio di ghiacciaio avviene quando i vuoti presenti non sono più intercomunicanti: il ghiaccio diviene impermeabile e l’aria presente rimane intrappolata in bolle tra i cristalli. Quando la massa di ghiaccio inizia a fluire, le bolle d’aria vengono ulteriormente compresse, e la densità del ghiaccio sale fino a circa 0.91 g/cm3 (contro 1 dell’acqua). La trasformazione del Firn in ghiaccio è ancora più lenta, e dipende sempre dalle temperature.
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