Gli anni ’70 e la presa di coscienza ambientale
Gli anni ’70 furono la culla della presa di coscienza ambientale, del pensiero ecologico e della necessità di adottare un modello economico e di vita più sostenibile. In quegli anni nacque il movimento ambientalista su scala internazionale e nel 1972 il MIT realizzò lo studio scientifico “Limits to growth” (I limiti dello sviluppo) su commissione del Club di Roma, per studiare il problema della scarsità delle risorse e del limite dello sviluppo. Attraverso una simulazione al computer furono valutate le conseguenze causate dalla crescita demografica della popolazione mondiale sugli ecosistemi e sulle riserve naturali. Il rapporto fu pubblicato in un periodo in cui stava scoppiando la prima grande crisi mondiale del petrolio, pertanto, vi era una diffusa preoccupazione e paura per il futuro. In quel contesto sociale, la pubblicazione non poté che segnare una svolta nella cultura e nella consapevolezza collettiva. Si iniziò a percepire che bisognava fare i conti con la dimensione finita delle risorse naturali e con l’insostenibilità di un modello economico basato sulla crescita illimitata con un modello di stabilità economica ed ecologica.
Lo studio dimostrò scientificamente l’esistenza di un limite invalicabile dello sviluppo economico dovuto appunto alla limitatezza delle risorse naturali. Lo scenario previsto dallo studio non era certo roseo: lo sviluppo economico e la crescita demografica si sarebbero arrestati con l’esaurimento delle risorse, e gli esseri umani avrebbero gradualmente perso i benefici fino ad allora acquisiti. Per evitare i limiti allo sviluppo, gli autori del rapporto proposero l’adozione di uno sviluppo sostenibile, ossia di una politica energetica ed economica basata sulle risorse naturali e sui limiti sostenibili dello sfruttamento. In questo modo, il pianeta avrebbe continuato a beneficiare di una crescita economica costante senza subire il rischio dell’esaurimento delle risorse.
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