Allevamento e biodiversità
Viviamo in un’epoca di grande minaccia per la biodiversità, oggi infatti la perdita delle specie animali e vegetali è centinaia di volte più veloce rispetto ai secoli scorsi. L’attività zootecnica genera forti impatti per gli aspetti legati alla biodiversità e alla riduzione della varietà delle forme di vita, poiché la deforestazione, l’impoverimento dei suoli, l’inquinamento e i cambiamenti climatici, a cui peraltro l’allevamento contribuisce, sono fattori che determinano una forte perdita di biodiversità. L’impatto è anche dovuto all’elevato numero di capi di bestiame oggi allevati, che rappresentano ben il 20% della biomassa di tutti gli animali presenti al mondo e occupano il 30% delle terre una volta abitate da animali selvatici. Quali sono gli aspetti dell’allevamento che influiscono più negativamente sulla biodiversità?
Le forme di allevamento basate sul pascolo creano sicuramente dei conflitti con la fauna selvatica (ad esempio, sono fonte di disturbo e minaccia per predatori come lupi e volpi e per le aree protette limitrofe), ma il danno maggiore è legato all’incremento dell’attività agricola che, nei paesi sviluppati e in particolare in Europa, ha modificato l’uso del suolo e ha portato all’abbandono dei pascoli. La perdita dei prati, che avevano nei secoli reso possibile lo sviluppo di tanti diversi tipi di ecosistemi, ha determinato il declino di molti di questi ecosistemi.
I numerosi studi svolti in questi anni per comprendere come tutelare la biodiversità hanno evidenziato che la zootecnia costituisce un impatto ambientale significativo: il WWF ha individuato l’allevamento tra le minacce di quasi il 40% di tutte le ecoregioni terrestri classificate; l’organizzazione Conservation International ha registrato che, su un totale di 25 zone ad elevata biodiversità (hotspots ) in tutto il mondo, ben 23 subiscono effetti negativi per la forte presenza di attività zootecnica. Infine, un’analisi della Lista Rossa sulle specie minacciate (stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – IUCN) evidenzia che la maggior parte delle specie minacciate vede i propri habitat ridursi per lasciare spazio alle attività legate all’allevamento, soprattutto alle coltivazioni di cereali per i mangimi. L’allevamento, in particolare quello intensivo industriale, spinge, quindi, l’agricoltura ad incentivare la monocoltura, di mais, grano, girasole e pochi altri cereali, indispensabile per produrre grandi quantità di mangime.
Essendo coltivazioni intensive sono, però, indispensabili notevoli quantità di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti. Questi spesso vengono distribuiti in dosi anche superiori a quelle che le coltivazioni possono assorbire e penetrano, quindi, nel terreno, inquinando le acque sotterranee che l’uomo usa, poi, per bere. Inoltre, l’agricoltore un tempo coltivava, anche per il proprio consumo, numerose varietà di ortaggi (oggi letteralmente scomparsi) e garantiva la rotazione del terreno – tecnica che consente di evitare fenomeni di impoverimento.
Oggi, invece, i campi vengono estesi il più possibile, vengono eliminati alberi e arbusti per consentire ai grandi macchinari di muoversi agevolmente, ma così facendo si toglie spazio ad ogni forma di vita animale e vegetale: siepi, ruscelli, piante e arbusti costituiscono infatti habitat fondamentali per moltissime varietà di uccelli e piccoli roditori, oggi nei campi di mais non trovano più la possibilità di vivere, o, anzi, vengono sostituite da specie alloctone che arrivano da altri climi, da altri continenti, ma che si adattano meglio alle nuove condizioni. Dunque la monocoltura, indispensabile a questo tipo di allevamento, ha come effetto la riduzione della biodiversità, oltre che la modificazione del paesaggio, un enorme consumo di acqua, l’impiego di prodotti chimici in quantità mai viste prima. In Italia il fenomeno è visibile anche nel paesaggio: in tutta la Pianura Padana, a partire dalle prime pendici delle Alpi fino all’Adriatico, il territorio è dominato dalle monocolture, in particolare mais, considerato il re dei cereali, e coltivato in pochissime varietà, le più redditizie.
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