Abiogenesi e biogenesi
Dopo i primi esperimenti condotti in maniera poco corretta come quello già citato di Van Helmont, ne arrivarono molti altri. Nel 1668 il medico Francesco Redi condusse una serie di esperimenti che avrebbero dovuto dimostrare che la generazione spontanea non esiste. Redi mise in alcuni contenitori della carne di vitello e del pesce, sigillò ermeticamente, altri invece li lasciò a contatto con l’aria. Con il trascorrere del tempo, egli osservò che nei recipienti aperti si trovavano sulla carne in decomposizione vermi (che in realtà altro non erano che larve di insetti!), mosche e altri insetti, mentre nei contenitori chiusi non si vedevano segni di esseri viventi. Nello stesso periodo degli esperimenti di Redi, un naturalista olandese Anton Van Leeuwenhoek (1632-1723) costruì un rudimentale microscopio che permetteva l’osservazione di microrganismi. In poco tempo si osservarono così un grandissimo numero di microrganismi all’interno di tutte le sostanze che venivano esaminate, e questo ovviamente fece rinascere l’idea della generazione spontanea che pareva abbandonata dopo gli esperimenti di Redi. In seguito alle numerose osservazioni con il nuovo strumento di Leeuwenhoek, si riaccesero le discussioni fra chi sosteneva la tesi dell’abiogenesi (la vita nasce da sostanze non viventi) e quella della biogenesi (la vita si origina solo da esseri viventi). Nel 1745 il naturalista inglese John Needham inventò nuovi esperimenti per dare prove alla tesi dell’abiogenesi. Egli mise in alcune provette brodo di pollo e infusi di erbe e poi le tappò con della garza. Le provette erano state rese sterili dal calore, ma nonostante questo dopo alcuni giorni si notarono centinaia di organismi viventi all’interno. Questo risultato rafforzò l’ipotesi dell’esistenza della generazione spontanea. Qualche anno dopo l’abate Lazzaro Spallanzani, non convito dall’esperimento di Needham, cercò di ripeterlo lasciando scaldare molto più a lungo il liquido nutritivo e a maggiori temperature, fino a farlo bollire per qualche minuto. Chiuse anche ermeticamente le provette e il risultato fu che anche a distanza di molti giorni non si notava alcun microrganismo vivo. Il naturalista Needham, di risposta criticò Spallanzani dicendo che la temperatura a cui era stato sottoposto il liquido nutritivo, era stata troppo elevata e questa aveva ucciso i principi attivi presenti e inoltre la chiusura ermetica delle provette non avrebbe lasciato passare l’aria indispensabile per la vita. Le discussioni continuarono lungo fino a quando intorno alla metà del diciannovesimo secolo, un biologo francese Louis Pasteur, studiò un nuovo esperimento che mise fine alla questione. Pasteur realizzò alcuni contenitori di vetro con un lungo collo ricurvo (chiamati “palloni a collo di cigno”). All’interno di questi il liquido nutritivo veniva bollito per più di un’ora lasciando che il vapore uscisse attraverso il collo ricurvo del recipiente. Dopo la bollitura, la sostanza all’interno cominciava a raffreddarsi lentamente, mentre l’aria contaminata da microrganismi entrava dall’esterno a causa della depressione conseguente al riscaldamento. Così gli organismi microscopici a contatto con il vapore bollente del liquido all’interno, morivano e anche dopo alcuni mesi non si trovava traccia di vita, mentre sul tratto più esterno del collo del recipiente si vedevano polveri e microrganismi entrati dall’esterno. Questo esperimento chiuse definitivamente la questione aperta dai sostenitori dell’abiogenesi, i quali dicevano che la lunga bollitura del liquido nutritivo uccideva il principio attivo. Pasteur invece, dimostrò che una volta rotto il collo ritorto del contenitore, l’aria a contatto con la sostanza avrebbe portato germi e microrganismi all’interno, dopo poco tempo. Inoltre il recipiente non sigillato consentiva all’aria di entrare, anche se attraverso un collo tortuoso, bloccando le obiezioni di chi sosteneva che il principio attivo avesse bisogno di aria per generare la vita.
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